“Non dirmi quanto talento possiedi, dimmi quanto lavori sodo.” (Arthur Rubinstein)
Il talento, nel senso comune, viene considerato qualcosa di innato
Una dote naturale in base alla quale siamo in grado di fare e rifare particolarmente bene qualcosa e attraverso cui otteniamo risultati in maniera semplice, spontanea e senza fatica.
Questo concetto purtroppo crea grande confusione in quante induce la maggior parte delle persone, che non ottengono risultati rilevanti nella loro vita e che non si sentono dotate per qualche attività particolare, a pensare che il talento sia qualcosa di genetico e riservato a pochi eletti fortunati. Se attribuiamo al talento un peso eccessivo, finiamo per sottovalutare tutto il resto, come se nel fondo della nostra mente dessimo per buono un profilo come questo:
Talento = Riuscita
Negli anni 90 lo psicologo svedese Anders Ericsson e la sua equipe di scienziati, hanno dimostrato che le grandi prestazioni in qualsiasi campo sono frutto in maniera predominante dell’esercizio e della preparazione piuttosto che di capacità innate.
La loro scoperta è nota con il nome di “regola delle 10 mila ore”
Queste risultano le ore quantificate di esercizio volontario che occorrono per raggiungere l’eccellenza in uno specifico campo. Ore di cui il talento necessita per essere espresso in tutta la sua grazia, suscitando emozioni straordinarie di gioia, curiosità, benessere sia in chi lo manifesta sia in chi lo ammira. Per questo esso è il risultato di un periodo di intenso impegno ed esercizio volontario.
E’ così che si chiarisce l’arcano, scoprendo che quello che comunemente ed erroneamente chiamiamo talento, in realtà è un attitudine naturale che non porta a nulla se non viene allenata ora dopo ora, trasformandosi da potenza in atto. Ciò che occorre non è la ripetizione automatica degli esercizi ma quella controllata e cosciente, per acquisire competenze specifiche correggendo continuamente gli errori e rifinendo accuratamente i dettagli da perfezionare, con lo scopo di spingersi oltre le capacità attuali e ottenere graduali e misurabili progressi.
Per intraprendere questo percorso a ostacoli, suddiviso in continui obiettivi da raggiungere, occorrono grandi dosi di convinzione, coraggio, tenacia, forza, di volontà e determinazione, in quanto il lungo cammino può presentare rischi e difficoltà nonché richiedere sacrifici e rinunce, che non tutti sono disposti ad affrontare.
E’ la disponibilità a metterci in gioco, ad osare fuori dalla zona di comfort, a correre dei rischi e a superare dei limiti che ci permetterà di fare la differenza.
Il talento ce l’hai per natura, ma l’abilità si sviluppa con ore e ore di esercizio.
L’abilità non coincide nemmeno con la riuscita. Senza un impegno costante, il talento rimane nient’altro che tutto quanto si sarebbe potuto fare ma non si è fatto. Con l’impegno, il talento si traduce in abilità e allo stesso tempo, l’impegno rende produttiva l’abilità raggiunta. Quindi una persona che abbia il doppio del talento ma si impegni la metà di un’altra può arrivare al medesimo livello di prestazioni, ma produrre decisamente meno a lungo andare. Questo perché chi si impegna per davvero non solo migliora le proprie capacità, ma le impiega per produrre. Se quel che conta è la qualità di quelle produzioni, allora chi con l’impegno arriva a un livello attitudinale comparabile a quello di chi ha un talento innato, finirà grazie al maggiore sforzo, con il realizzare di più.